Paul Guedeney 1, Vincent Roule 2, Jules Mesnier 3, Celine Chapelle 4, Jean-Jacques Portal 5, Silvy Laporte 4, Edouard Ollier 4, Michel Zeitouni 1, Mathieu Kerneis 1, Niki Procopi 1, Olivier Barthelemy 1, Sabato Sorrentino 6, Michal Mihalovic 7, Johanne Silvain 1, Eric Vicaut 5, Gilles Montalescot 1, Jean-Philippe Collet 1
1Sorbonne Université, ACTION Study Group, Institut de Cardiologie, Centre Hospitalier Universitaire, Pitié-Salpêtrière, 47 Boulevard de l’Hôpital, Paris 75013, France.
2Service de Cardiologie, Centre Hospitalier Universitaire (CHU) de Caen Normandie, Normandie Univ, UMR_S 1166, Caen, France.
3French Alliance for Cardiovascular Trials (FACT), Université de Paris, INSERM Unité-1148, and Hôpital Bichat, Assistance Publique-Hôpitaux de Paris, Paris, France.
4Unité de Recherche Clinique, Innovation et Pharmacologie, CHU de Saint-Etienne, Saint-Etienne, France.
5Unité de Recherche Clinique, Lariboisière Hospital (AP-HP), ACTION Study Group, Paris, France.
6Division of Cardiology, Department of Medical and Surgical Science, Magna Graecia University, Catanzaro, Italy.
7Cardiocenter, Third Faculty of Medicine, Charles University, University Hospital Kralovske Vinohrady, Prague, Czech Republic.
European Heart Journal – Cardiovascular Pharmacotherapy, Volume 9, Issue 3, April 2023
ABSTRACT
Essendo ancora poco chiaro il miglior regime di terapia antitrombotica in grado di prevenire le complicanze ischemiche ed allo stesso tempo garantire il minor rischio di sanguinamento in seguito ad intervento di sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI), questo studio ha paragonato la sicurezza e l’efficacia di diversi regimi terapeutici in pazienti senza indicazione a terapia anticoagulante a lungo termine.
TESTO
La sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI) ha assunto negli ultimi anni un ruolo di sempre maggiore importanza nel trattamento dei pazienti con stenosi aortica severa. Pertanto, è diventato un argomento di assoluta rilevanza la determinazione dell’ottimale strategia terapeutica antitrombotica in grado di limitare le complicanze ischemiche maggiori in seguito all’intervento, ed allo stesso tempo garantire un’efficace protezione dal rischio di sanguinamento, alla luce della necessità di utilizzare sistemi di accesso vascolare di grande calibro e dell’età spesso avanzata dei pazienti in questione. Le ultime linee guida raccomandano la singola terapia antiaggregante (SAPT) nei pazienti senza indicazione a terapia anticoagulante a lungo termine; tuttavia, queste non tengono in considerazione i risultati dei più recenti studi randomizzati controllati (RCTs) che hanno paragonato la terapia con anticoagulanti orali diretti (DOACs) a quella antipiastrinica.
Nel presente lavoro è stata pertanto condotta una revisione sistematica ed una metanalisi di RCTs che hanno valutato la terapia antitrombotica post-TAVI fino ad aprile 2022. Sono stati inclusi sette studi per un totale di 4006 pazienti, con un follow-up medio di 12,9 mesi. L’endpoint primario di efficacia era la mortalità per tutte le cause, mentre quelli di sicurezza erano i sanguinamenti maggiori, disabilitanti o potenzialmente letali. Altri endpoint di interesse erano la mortalità per cause cardiovascolari e non cardiovascolari, il tasso di infarto miocardico, di stroke, di embolia e di ridotta apertura valvolare di grado 3 o 4. Tra i pazienti inclusi, 650 (16,2%) hanno ricevuto una SAPT, 1893 (47,3%) una doppia terapia antiaggregante (DAPT) e 1463 (36,5%) hanno ricevuto DOACs, nello specifico apixaban in 526 (13,1%) casi, edoxaban in 111 (2,8%) e rivaroxaban a bassa dose + tre mesi di SAPT in 826 (20,6%) casi.
Il rischio di mortalità per tutte le cause è risultato significativamente ridotto con una doppia terapia antiaggregante rispetto ad un regime di rivaroxaban a bassa dose + tre mesi di SAPT (RR 0,60, 95% CI 0,41–0,88); non si è osservata invece una significativa riduzione con una SAPT rispetto ad una DAPT (RR 1,02, 95% CI 0,67–1,58), e tra SAPT e DAPT comparate con apixaban o edoxaban (RR 0,60, 95% CI 0,32–1,14 and RR 0,59, 95% CI 0,34–1,02, rispettivamente). La singola antiaggregazione è risultata significativamente associata ad una riduzione dei sanguinamenti maggiori, disabilitanti o potenzialmente mortali rispetto ad un regime di DAPT (RR 0,45, 95% CI 0,29–0,70), apixaban o edoxaban da soli (RR 0,45, 95% CI 0,25–0,79) o rivaroxaban a bassa dose + tre mesi di SAPT (RR 0,30, 95% CI 0,16–0,57). Rispetto ai DOACs, invece, la DAPT non ha dimostrato di ridurre il tasso di sanguinamenti maggiori (RR 1,05, 95% CI 0,67-1,66). Non sono state inoltre riscontrate differenze tra i vari regimi terapeutici per quanto concerne il tasso di infarto miocardico, stroke o embolia sistemica.
In pazienti a rischio intermedio-alto senza indicazione a terapia anticoagulante cronica, pertanto, in seguito ad intervento di TAVI la singola terapia antiaggregante ha più che dimezzato il rischio di sanguinamento rispetto ad una doppia antiaggregazione e ad una terapia con anticoagulanti orali, senza tuttavia aumentare il rischio di complicanze ischemiche. L’utilizzo di inibitori diretti del fattore Xa, infatti, non ha portato ad una significativa riduzione del rischio di stroke o infarto miocardico nella casistica considerata dallo studio. Nello specifico, la terapia con apixaban o rivaroxaban a bassa dose, rispetto a quella con SAPT o DAPT, è risultata associata ad una significativa riduzione della trombosi delle cuspidi valvolari, senza tuttavia impattare sul rischio di stroke nella popolazione oggetto di analisi.
Traduzione e revisione a cura di Antonio Bellantoni
https://academic.oup.com/ehjcvp/article-abstract/9/3/251/6987635?redirectedFrom=fulltext&login=true